giovedì 23 maggio 2013

Come eravamo


Da bambini avevamo le classiche cartelle rettangolari, quelle in pelle colorata, chiuse con le due fibbie in metallo. Avevamo braghe corte e ginocchia perennemente sbucciate. Era l’epoca di Bonimba centravanti e delle sue rovesciate, del gioco dell’elastico, dei pattini a rotelle, della magnifica serie televisiva avveniristica UFO che insieme a quella avventurosa de Il tesoro del castello senza nome erano i miei programmi preferiti. In occasione del Carnevale i maschi in genere si mascheravano da Zorro, Sceriffo e Indiano e le femmine da Fata, Principessa. A scuola ci si presentava con il grembiule pulito e stirato di tutto punto, altrimenti scattava la nota. E' strano ripensarci adesso, eppure mi piaceva molto quella divisa, composta dal camice nero e dal fiocco azzurro. Visto che nemmeno a farlo apposta avevo l'opportunità di vestire i colori dell’Inter. 

Personalmente l’ho sempre considerato un segno della provvidenza. Non perdevo occasione di rimarcarlo alla mia maestra, che aveva sempre un’espressione stranita nei miei confronti. Mia mamma mi preparava il panino al salame o alla nutella come merenda per il doposcuola al pomeriggio, completata da un succo di frutta Billy e da un pacchettino di wafer Ritz al cioccolato. Io mi recavo lì,  sempre con congruo anticipo per poter scambiare le figu doppie della Panini in compagnia dei miei amici.

Eravamo un gran gruppo. I primi della truppa mi suonavano al campanello di casa. Mi affacciavo alla finestra e vedevo otto o nove bambini come me: - Dai scendi!!! Allo stesso modo passavamo di casa in casa fino a diventare una bella banda composta da una ventina di mocciosi casinisti. Per arrivare fino alle elementari, dovevamo attraversare tutto il centro del paese.

Riparati dal portico, dopo aver salutato Leandro il bidello che ci cazziava puntualmente dopo aver varcato il cancello, ci piazzavamo sui gradoni e cominciavano a mercanteggiare con il classico  celo celo, manca. Ognuno con il pacco gigante di figurine doppie, nel tentativo di trovare quelle che mancavano per completare l’album. Io ne avevo una dozzina di Mario Giubertoni. Per me era un altro segno del destino. Detto con molta schiettezza, io pensavo valesse Beckenbauer. Era l’anno della Coppa Campioni, quella della lattina contro il Borussia M.Gladblach, della lotteria dei rigori contro il Celtic, in cui abbiamo avuto la meglio.

Si erano così spalancate le porte della finale di Rotterdam contro l’Ajax di Cruijff, Neeskens e Krol. L’ultimo rigurgito di orgoglio di molti reduci della Grande Inter  a cui si erano aggiunti i giovanissimi Ivano Bordon in porta e Lele Oriali come jolly in difesa e a centrocampo. Sarà quest’ultimo a doversi occupare di Johan e lo fa in maniera abbastanza efficace, fino a quando non si scontra con Bordon e gli olandesi vanno in vantaggio seguirà il raddoppio del fuoriclasse olandese che sancirà la nostra sconfitta.




Ricordo di aver visto quella partita di nascosto, a carponi sotto il tavolo della cucina. Ricordo ancora oggi le imprecazioni di mio papà e dei suoi amici i pugni sul tavolo che rimbombavano sulla mia testa. Ricordo il torcicollo e il male alle ginocchia per scansare le pedate degli adulti, ma più di tutto ricordo i lacrimoni che mi sono scesi a fine partita.

Piangendo naturalmente in silenzio,  per non farmi sgamare. Poi sempre senza fare alcun rumore sono sgattaiolata in cameretta dopo non so quanto tempo, perché non volevo che i miei si accorgessero che non avevo rispettato il classico divieto a letto e di corsa dopo il Carosello.

Era una serata di fine maggio e allora non mi sarei certo aspettata che avrei dovuto attendere fino al 2010 per vedere l’Inter di nuovo in finale di Coppa Campioni. Così avevo archiviato quella sconfitta come una parentesi sicura che presto ci saremmo riscattati. La storia dice che è successo altro come tutti sappiamo, ma come tanti altri non ho mai mollato e tutti insieme siamo arrivati fino a Madrid.

Invece ora che sono trascorsi quaranta e passa anni da quella battaglia persa contro i lancieri olandesi, dopo aver archiviato l’ultima giornata di un campionato disastroso contro l’Udinese, prevale in me un senso di amarezza e disincanto. Dovuta a questa situazione di confusione riguardo ai programmi futuri. In società sono alla ricercata disperata di soci e soldi e non si sa se li troveranno. In base a questo non si sa chi allenerà l'Inter. Non si sa nemmeno, se gli ultimi pezzi pregiati dell’argenteria di casa, Samir e il Guaro, varcheranno di nuovo i cancelli di Appiano Gentile oppure no, con tutti gli annessi e connessi del  caso.

Allora il dispiacere era scomparso in fretta e l’estate seguente è trascorsa insieme ai soliti compagni, e al mio cane  un pastore tedesco, che mi sembrava gigantesco. Cavalcavamo le nostre bici, per andare all'oratorio, come  fossero dei destrieri bellissimi, e Rin Tin Tin (mica per niente si chiamava così) ci rincorreva felice nei prati, mentre noi fantasticavamo con incrollabile ottimismo sulle stagioni calcistiche e non che  sarebbero arrivate.

Al contrario stamattina mi trovo in mezzo al traffico caotico, insieme alla sgradita compagnia di tutti i miei casini (da adulti purtroppo è normale) e del dispiacere per la stagione appena terminata. Per cui so solo che vorrei tanto tornare a estrarre il mio pacchetto della Panini legato con l’elastico doppio sotto la sella, lontano dai clacson, dalle imprecazioni degli automobilisti e dalla mediocrità in cui i colori del cielo e della notte sono al momento imprigionati.